1 dicembre 1923, il Disastro della Diga del Gleno

Primo dicembre del 1923. La Diga del Gleno, un imponente sbarramento lungo 260 e largo circa 20 metri, se ne stà lì: immobile, severo, grave, proprio all’imbocco della valletta ai piedi del Monte Gleno, nel comune di Vilminore, in Valle di Scalve.

La diga l’avevano costruita in pochi anni per imbrigliare il corso dei fiumi Nembo e Povo, per accumulare la loro acqua e per produrre energia elettrica. Doveva essere simbolo di stabilità, di modernità, un modello per l’Italia e per tutti gli altri Paesi: si trattava della prima diga al mondo costruita utilizzando contemporaneamente due tecniche diverse, a gravità e ad archi multipli. Quello che accadde quella mattina di dicembre però la trasformò nel simbolo di quello che la mano dell’uomo può realizzare lavorando con poca attenzione e pressapochismo.

Ne fecero le spese interi paesi e centinaia di persone, che sparirono inghiottiti dalle acque, dal fango e da una tragedia che non ha mai trovato i suoi colpevoli.

Una diga in Valle di Scalve

L’idea di realizzare un diga nella Valle del Gleno nasce nei primi anni del Novecento. La prima richiesta di concessione per lo sfruttamento idroelettrico del torrente Povo risale al 1907 e porta la firma dell’ingegner Carlo Tosana, che a Brescia aveva uno “studio tecnico per impianti elettrici, concessioni e progetti di forze idrauliche, tramvie e ferrovie elettriche” *. In seguito la concessione viene ceduta all’ingegner Giuseppe Gmur, anch’esso titolare di uno studio tecnico, con sede però a Bergamo. Infine la concessione passa di mano un’ultima volta e da Gmur finisce al titolare della ditta Galezzo Viganò, di Triuggio (Monza Brianza).

La Diga del Gleno avrebbe dovuto contribuire ad alimentare attraverso l’energia elettrica il funzionamento di alcuni cotonifici che appartenevano proprio alla ditta Viganò.

Nel 1917 il Ministero dei lavori pubblici autorizza la realizzazione di un invaso che può contenere fino a 3.900.000 metri cubi di acqua in località Pian del Gleno. Passano solo pochi mesi e la ditta Viganò notifica l’inizio dei lavori, anche se il progetto esecutivo non è stato ancora approvato dal Genio Civile. Di proroga in proproga si arriva al 1919, quando viene davvero presentato il progetto, firmato dallo stesso ingegner Gmur per conto della Viganò. Il progetto prevede la realizzazione di una diga a gravità.

Dopo l’inizio dei lavori, nell’ottobre 1919, l’ingegnere si ammala. Alla direzione dei lavori gli subentra l’ingegner Giovan Battista Santangelo di Palermo. Gmur muore il 25 agosto del 1920. Durante tutto il periodo della malattia, come testimonierà dopo il Disastro il figlio Omar, sono molti i vilminoresi che gli fanno visita. Tra loro anche il sindaco di Vilminore, Luigi Albrici. “Costoro parlando riferivano a mio padre – testimonierà Omar Gmur – come procedevano i lavori della diga, e io sentii più volte a mio padre ripetere la frase: vanno male, vanno male”.**

Irregolarità nella realizzazione della Diga del Gleno

La Diga del Gleno appena terminata
La Diga del Gleno appena terminata, nel 1923

Nel settembre del 1920 iniziano ad arrivare alla Prefettura di Bergamo segnalazioni circa i materiali usati per la realizzazione dello sbarramento: al posto di cemento, si diceva, veniva utilizzata la calcina. La Prefettura sceglie di inviare degli ispettori per raccogliere campion di calce, che però non verranno mai analizzati. Nel 1921 il Genio Civile approva il progetto esecutivo dell’ingegner Gmur. I lavori però sono già iniziati da qualche anno e la ditta Viganò aveva appena appaltato alla ditta “Vita & C” le opere di edificazione delle arcate.

Mentre si aspettava l’approvazione dei documenti infatti, il progetto originario era stato cambiato. Ora la previsione era qulla di realizzare la seconda parte della diga ad archi multipli. Nell’agosto del 1921 l’ingegner Lombardo del Genio Civile si presenta alla Diga del Gleno per un sopralluogo e verifica il cambiamento: nel cantiere sono in costruzione le basi delle arcate e quelle della parte centrale della diga non sono appoggiate sulla roccia, ma sul tampone a gravità.

Il 12 agosto 1921 il Genio Civile informa il Ministero dei lavori pubblici del cambiamento progettuale. Il 19 giugno 1922 il Ministero impone alla ditta costruttrice la sospensione dei lavori e l’immediata presentazione dei progetti di variante. I lavori però non vengono interrotti e solo all’inizio del 1923 viene presentata la variante al progetto.

La Diga del Gleno ormai è terminata. Il 23 ottobre 1923, a causa delle forti piogge, l’invaso si riempie per la prima volta. Contiene circa sei milioni di metri cubi d’acqua. Tra ottobre e novembre sono tante le perdite d’acqua segnalate, soprattutto al di sotto delle arcate centrali, che non appoggiavano sulla roccia, ma sul tampone centrale.

Il crollo

Il 1 dicembre 1923 a presidiare la diga c’è solo il suo guardiano, Francesco Morzenti. Alle 7.15, nel buio della mattina, Morzenti ha appena aperto l’acqua alla Centrale quando vede cadere un sasso dalla diga. Ispeziona lo sbarramento e non può far altro che notare una crepa, sempre più grande, che sale lungo il pilone centrale. Si dirige verso la propria baracca e altri due massi, due cornicioni, gli cadono di fronte. Quando raggiunge l’edificio per dare l’allarme ormai è troppo tardi: la diga è crollata. Morzenti verrà chiamato per il resto della sua vita “il Petòsalti“, colui che salta, perché proprio correndo, saltando, si era salvato la vita.

Il bacino, che era completamente pieno, si svuota in poco meno di quindici minuti. Lo squarcio che si apre nell’invaso è largo circa 80 metri, i piloni più alti, quelli che poggiavano sul tampone, sono crollati. In pochissimo tempo sei milioni di metri cubi d’acqua si riversano a valle.

È un disastro.

La Diga del Gleno dopo il crollo
La Diga del Gleno dopo il crollo

L’acqua scendendo a valle travolge interi paesi. Il primo è Bueggio, frazione di Vilminore, in gran parte spazzato via dalla violenza degli elementi. Di Dezzo invece, per metà frazione di Colere e per metà di Azzone, non rimane praticamente nulla. L’acqua, il fango e i detriti proseguono la loro corsa infilandosi nella Via Mala, scavata dal fiume Dezzo, che collega la Valle di Scalve alla Val Camonica. La devastazione arriva ovunque: Mazzunno, Corna di Darfo. Sempre più, fino al lago d’Iseo, il cui livello delle acque si alza di circa un metro.

I morti sono centinaia, ma non verranno mai conteggiati di preciso. 350 quelli identificati, molti di più i corpi che non avranno mai un nome. Intere famiglie scomparse. Il 3 dicembre il re Vittorio Emanuele arriva in Valle di Scalve per vedere con i proprio occhi la gravità della situazione.

La Diga del Gleno oggi

Oggi la Diga del Gleno è, principalmente, una meta turistica, che si può raggiungere percorrendo sentieri diversi (qui si trovano tutte le indicazioni necessarie). I ruderi dello sbarramento rimangono lì, sentinelle di una valle bellissima, dove predominano il verde e l’acqua, e dove gli animali pascolano indisturbati. Il ricordo del Disastro però è perennemente vivo tra chi abita la zona, tanto che, negli ultimi anni, la Pro Loco di Vilminore ha promosso alcuni progetti per continuare a riflettere sul significato di questa presenza, ingombrante sia in senso fisico che per quello che riguarda la memoria collettiva.

Così è nato Archivio Gleno, un vero e proprio archivio della memoria, un portale online dove sono liberamente consultabili moltissimi documenti che riguardano proprio il periodo della costruzione e del crollo della diga: fotografie, testimonianze, ricordi, filmati, documenti d’archivio, carte processuali. Tutto a portata di click per poter leggere la storia da vicino, attraverso le voci e gli occhi di chi questo disastro l’ha vissuto sulla propria pelle.

*”Un secolo di cloro e…PCB, Marino Ruzzenti, p.33; ** Il disastro del Gleno, G. Sebastiano Pedersoli;